Don Bosco e i cani
A Valdocco, nella scala che porta alle camerette di don Bosco, un grande quadro raffigura un pastore tedesco che tiene una zampa e la faccia appoggiate contro la tonaca di don Bosco, come se volesse impedirgli di uscire. Mamma Margherita, indicando il cane, si rivolge al figlio. Nella storia di don Bosco c’è anche lui: il famoso “Grigio”.
Giovanni Bosco quando era ancora studente a Chieri strinse una vera amicizia con il cane di suo fratello Giuseppe, all’epoca in cui questi era mezzadro a Sussambrino. Quel cane era un bracco, un animale da caccia. Giovanni gli insegnò a prendere al volo pezzi di pane… e a mangiarli solo quando gli diceva di farlo. Lo addestrò a salire e scendere dalla scala del fienile, a fare salti come in un circo. “Bracco” lo seguiva ovunque e, quando Giovanni lo portò in regalo ad alcuni parenti di Moncucco, l’animale, in preda alla nostalgia, tornò da solo a casa, alla ricerca del suo amico.
Nella vita di don Bosco, però, c’è soprattutto il cane grigio, èl Gris’, in piemontese. Questo cane misterioso diventò protagonista di racconti fantasiosi e lo stesso don Bosco volle sgombrare il campo da esagerazioni raccontando “la pura verità” alla fine delle sue “Memorie dell’Oratorio” che scrisse negli anni 1873-1875.
«Che brutta bestia!»
Negli anni 1850, don Bosco fu vittima di frequenti aggressioni. Per raggiungere l’oratorio, dopo aver oltrepassato il manicomio doveva attraversare una striscia di terreno abbandonato invaso da cespugli e un bosco di acacie. Una sera particolarmente buia, tornava a casa solo, non senza una certa apprensione, quando vide un grosso cane. Dato che il cane non manifestava alcun atteggiamento ostile, don Bosco lo accarezzò. Il cane gli fece le feste e lo accompagnò fino all’oratorio; poi scomparve. Questo fatto si ripeté più volte.
Nel novembre del 1854, in una notte nebbiosa, lungo la strada che conduce dalla basilica della Consolata all’ospedale Cottolengo, don Bosco si rese conto che due uomini che procedevano davanti a lui rallentavano o acceleravano il passo in base alla sua andatura. Passò sull’altro marciapiede e anche i due uomini si spostarono. Era troppo tardi per cambiare strada. I due loschi individui lo aggredirono e lo avvolsero in un mantello. A quel punto comparve il Grigio, che abbaiò fragorosamente, fece perdere l’equilibrio a uno degli uomini spingendolo con le zampe e saltò alla gola dell’altro. Gli aggressori, terrorizzati, pregarono don Bosco di trattenere il cane. Don Bosco richiamò l’animale, che continuava ad abbaiare, e corse fino al Cottolengo, dove poté tranquillizzarsi.
Un giorno in cui l’animale si avventurò nell’oratorio, alcuni giovani, spaventati, cercarono di cacciarlo tirandogli sassi, ma Giuseppe Bozzetti lo impedì dicendo: «Non maltrattatelo: è il cane di don Bosco». Carlo Tomatis e Giuseppe Brosio, che vissero gli inizi dell’oratorio, lo descrissero come un pastore tedesco. Carlo aggiunse che aveva un aspetto che incuteva timore e che Mamma Margherita non riusciva a trattenersi dall’esclamare: «Che brutta bestia!». Faceva pensare a un lupo, con il muso allungato, le orecchie dritte, il mantello grigio, l’altezza pari a circa un metro. Non per nulla si mostrava inquieto di fronte a chi non lo conosceva. Giovanni Cagliero testimoniò di aver visto “quel bravo cane” una sera d’inverno.
Una sera, Mamma Margherita cercava di dissuadere il figlio dall’idea di uscire, ma don Bosco era deciso ad avviarsi facendosi accompagnare da alcuni ragazzi grandi e coraggiosi. Il Grigio era sdraiato davanti alla porta e non sembrava intenzionato a spostarsi. Don Bosco gli ordinò: «Alzati e vieni anche tu con noi». Invece di obbedire, il cane si mise ad abbaiare e rifiutò di spostarsi. Don Bosco tentò due volte di scavalcarlo, ma il Grigio gli impedì di passare. Mamma Margherita commentò: «Se non vuoi ascoltare me, ascolta almeno il cane». In seguito si venne a sapere che quella sera don Bosco era minacciato da alcuni uomini che attendevano che uscisse per assassinarlo.
Don Bosco scrisse di aver visto il Grigio per l’ultima volta nel 1866 sulla strada che conduceva a Moncucco, verso la fattoria Moglia in cui voleva salutare il fattore che in passato l’aveva accolto come garzone. Il Grigio fu chiuso in una stanza, per evitare che i cani da guardia della fattoria lo attaccassero. Quando qualcuno andò a portargli da mangiare, emerse che era misteriosamente scomparso.
Fu chiesto più volte a don Bosco un parere sulla natura di quell’animale sorprendente. Don Bosco disse alla baronessa Fassati: «Questo cane è una creatura degna di nota nella mia vita! Affermare che sia un angelo farebbe sorridere, ma non si può nemmeno dire che sia un cane comune». In un’altra occasione don Bosco si espresse così: «Ho riflettuto spesso sull’origine di questo cane… So solo che per me è stato un dono della provvidenza».
Oltre l’aneddoto
Il legame tra don Bosco e il cane va oltre l’aneddoto.
Un educatore come don Bosco poteva presentare il Grigio come una creatura capace di controllare la violenza. Il cane insegna ai giovani che non devono più avere paura della loro aggressività, che possono incanalarla per metterla al servizio del bene e che, in definitiva, è possibile riuscire a contraccambiare il male con il bene.
Da un altro punto di vista, il cane è un alter ego di don Bosco: suggerisce qualche aspetto del suo rapporto con Dio. Come il cane è stato formato dall’uomo nel corso di una lunga storia di vita in comune, così don Bosco si è lasciato foggiare da una lunga storia con Dio, una “formazione” che non lo snatura, ma al contrario valorizza la sua personalità. Don Bosco è un uomo plasmato per sempre da Dio, un “innamorato” della causa divina. Se gli si toglie il suo padrone, un cane diventa aggressivo perché perde la sua sicurezza, e difenderà la casa o l’auto che conservano l’odore rassicurante del padrone. Analogamente, non è possibile togliere Dio a don Bosco senza che questi perda la sua identità, la sua energia, la sua gioia profonda. E diventa lo strenuo difensore di Dio.